Davide Carnevali / 7-11-2019
Dio e le stelle
Vero non è che Dio creò le stelle nel quarto giorno, come riportano le Scritture, per illuminare la terra, regolare il giorno e la notte e separare la luce dalle tenebre; per quello, sole e luna sarebbero bastati. Dio si inventò le stelle per un altro motivo, un motivo che non ha nulla a che vedere con quanto noi crediamo sia la loro funzione e il loro scopo: le creò per diletto. Le fece perché amava sedersi la notte nel mezzo del suo giardino a guardarle per ore, dall’alto del firmamento, in silenzio, fino alle prime luci del mattino.
L’uomo sa che, viste dal basso, dalla Terra, le stelle sono stupende. Ma io so che dall’alto, da dove Dio le guarda, lo sono ancora di più. Dal basso le stelle indicano al viaggiatore il cammino da intraprendere per giungere all’obiettivo che si è prefissato. Dall’alto, invece, suggeriscono al viaggiatore che la bellezza sta nel camminare senza meta, per arrivare da nessuna parte. Dal basso, con i loro moti e rotazioni, le stelle marcano il passo inflessibile delle stagioni e dei mesi, e il tempo della semina e il tempo del raccolto, e il tempo del lavoro e il tempo della festa. Dall’alto, invece, rivelano che stagioni e mesi durano a volte il tempo breve di un respiro, altre il lungo tempo di una vita e, altre ancora, un tempo che non è né breve né lungo, ma che è respiro e vita insieme, e che è questo il vero tempo della festa.
Viste ancora dal basso, le stelle si dispongono ordinatamente nello spazio e permettono che gli uomini traccino tra esse le linee che danno forma ai segni dello zodiaco, in cui è scritta la natura di ogni uomo e il suo carattere. Ma io so che dall’alto le stelle si configurano in costellazioni sconosciute, una per ogni eroe e ogni animale, compresi quelli estinti e quelli immaginari, e poi in forme che ricordano incroci e combinazioni di animali estinti e immaginari, e incroci di incroci e combinazioni di combinazioni, e incroci di combinazioni di incroci di combinazioni, potenzialmente (ed effettivamente) infiniti. Osservando le costellazioni dall’alto, scopriremmo così che il nostro segno non corrisponde al Capricorno né a quello dei Gemelli, ma alla Talpa cieca o al Cavallo con la criniera a spiga di grano, oppure alla strana bestia nata dall’accoppiamento di un cavallo e un’aquila dalla vista acuta, o tra l’essere risultante da questa combinazione e quello risultante dalla combinazione di un intelligente delfino e uno scarabeo smarrito; o tra tutte queste combinazioni combinate insieme e un fermacarte da scrivania, una pietra ovoidale, un salice o un eremita stanco. E tutte queste costellazioni rivelano all’uomo una delle sue nature e uno dei suoi caratteri, e nessuna di queste mente.
Dal basso le stelle rivelano all’uomo il destino che lo attende, ma io so che dall’alto raccontano a chi le osserva che il destino è multiforme, e può cambiare da un momento all’altro, improvvisamente, secondo il volere dell’uomo che le osserva, e assumere le sembianze più svariate. Anche le sembianze di ciò che non è destino, pur continuando a essere destino.
Dal basso le stelle sono belle da contemplare. Ma dall’alto lo sono ancora di più, e in un modo così stupendo che è impossibile descriverlo, o scriverlo, o anche solo immaginarlo.
Si dice che Dio concederà a un solo uomo, tra tutti gli uomini di tutti i tempi, per una volta, il privilegio di sedergli accanto per una notte intera, così che l’uomo, seduto accanto a Dio nel Giardino, possa porgli tutte le domande a cui ha sempre cercato risposta. Ma io so che l’uomo che ha avuto la fortuna di sedersi accanto a Dio non ha detto una parola. Ha guardato le stelle dall’alto ed è rimasto in silenzio, a contemplarle, fino alle prime luci del mattino. Dimenticandosi di tutte le domande a cui, nella vita, aveva cercato risposta.