Un immenso senso di impotenza – Eleonora Calesini, Debora Grossi

Debora Grossi / 6-04-2020

 

Riccione – Mondaino. Primavera 2020.
Tempo di percorrenza: 2 secondi, quelli necessari alla connessione per accedere al segnale.
Mare e collina.
Città balneare, truccata a festa sei mesi all’anno, si collega con il borgo storico immerso nei boschi
.

Non risponde.
Devo farle gli auguri.
Probabilmente sarà nel suo campo, immersa tra la protezione degli alberi e delle vigne mentre qui la salsedine entra nelle ossa.
Pochi giorni fa il vento dell’est ha portato il mare alla mia finestra, potevo sentirne le onde. Sbattevano l’una contro l’altra e urlavano da far paura. Tutta la città era testimone del loro litigio finché non hanno fatto pace lasciandoci andare a dormire con un peso in meno.

Quattro settimane fa a svegliarmi c’era il vociare del mercato in fondo al viale, i tecnici del teatro davanti casa, i bambini dell’asilo e i canti della chiesa.
Sì, vivo in mezzo alla vita.

Ora vengo svegliata dalla luce e dal canto di gabbiani e uccellini. I primi arrivano con le loro voci grasse e si posano sul tetto dei miei dirimpettai, i secondi si inseguono nell’aria e spariscono tra le fronde.
Sì, anche questa è vita, quella che ho sempre dato per scontata in mezzo alle abitudini.

Eppure eccoci qui, spettatori esperti di serie tv che imparano ad osservare il mondo. Uno streaming continuo che avviene fuori dalle nostre finestre e che per una volta non ci vede protagonisti.
Per mesi mi sono sentita dire “fermati”, ora faccio i conti con una staticità imposta, senza riuscire a fermarmi veramente. Creo, disfo e trasformo. Tutto rallenta, tranne il mio cervello e l’impollinazione.

Sono riuscita a crearmi una routine anche nel momento in cui potrei semplicemente fermare tutto. Benedizione o maledizione lo capirò solo quando smetterò di collegarmi al bollettino delle 18:00. Quando potrò sentirmi davvero libera di fermarmi e tirare un profondo sospiro di sollievo.
Per ora faccio quello che mi viene naturale fare, senza chiedermi se sia giusto o sbagliato.

Appesa in bagno ho una pietra con incisa una Runa: ISA | . Immobilità e calma.
Anche lei me lo ricorda continuamente mentre ogni mattina traccio una linea nera e sensuale sulla palpebra.

Il mio salvagente è diventato una riga di eyeliner, un marchio nero che mi fa sentire bene e che sbiadisce prima di notte tra lacrime sottili e goccioline di sudore.
Un ghirigoro per cui lei mi prende sempre in giro: “Ma perché ti trucchi per stare in casa?”.
Fingo che vada tutto bene, recito la mia parte.

 


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Eleonora Calesini / 6-04-2020

 

Datemi cinque minuti e risponderò a tutti.

Sono in casa, c’è mia mamma e sono già partite le videochiamate e i messaggi a ricordarmi del mio compleanno. Con calma risponderò che sto bene e che sì, anche questo è un compleanno diverso. Questa volta siamo in isolamento, chiusi con ansia e preoccupazione come coinquilini. In realtà ci sono ogni anno, è diventata una tradizione averli come ospiti ma io almeno sono a casa mia, al sicuro e con la mia famiglia.

Ho il campo di mio padre, ho il cielo e la mia campagna.

Tutto questo mi è sempre bastato e mi basta per stare bene, ma oggi sembra completamente inutile. Non c’è niente in grado di scacciare i ricordi di undici anni fa. Ogni anno, in questa giornata, tornano a galla. Che bel regalo di merda. Oggi sono ancora più forti perché le continue notizie dalla tv e dagli amici mi fanno tornare a quel giorno. È tutto così simile che a volte non riesco a distinguere la realtà dal passato.
Continuiamo a temere per noi e per i nostri cari, continuano ad esserci persone che sottovalutano il problema e continuano ad esserci persone che provano a risolvere il problema, questa volta non hanno un casco, ma hanno un camice.

Quando sento parlare di numeri e di intubati è come se mi rivedessi allo specchio.
Ho paura di dover aspettare qualcuno fuori dalla terapia intensiva, e solo ora comprendo davvero cosa mi sono persa: un immenso senso di impotenza. Questo è quello che deve aver provato mia madre.

Il solo pensiero di poter vivere un altro trauma mi fa sprofondare ma devo rimanere fedele alla promessa che mi sono fatta undici anni fa. Anche se la paura si espande più veloce del virus devo mantenere la parola data e continuare a vivere giorno per giorno, senza pensare al domani.

Oggi è il mio compleanno ma non sono appena entrata nel mio appartamento a L’Aquila. Non vengono ad abbracciarmi le mie coinquiline riempiendomi di domande. Non ci sono scosse. Non ci sono fughe e non ci sono quattro piani sopra di me.
C’è solo il cielo e il rumore insistente della chiamata di Debora.
Grazie al cielo esiste la tecnologia!

 

 

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