Carla Fiorentino / 30-04-2020
Prima di andare avanti nella lettura dovete sapere una cosa fondamentale: io in quarantena ci sto benissimo. E quindi, se siete qui per leggere una lunga elencazione di lagnanze di quanto mi manchi correre per ore lungo il fiume, scalare le montagne a mani nude o camminare scalza in mezzo ai boschi, sappiate che siete nel posto sbagliato, anche perché tutte quelle cose lì io non le ho mai fatte in vita mia né ho mai sognato di farle. Mi accontento beatamente di stare seduta sul mio divano a leggere e pensare. Più leggere che pensare ma questa è un’altra storia.
Ovviamente non vuol dire che me ne freghi di quello che succede al mondo ma anzi, proprio perché lo tengo in grande considerazione, sono ligia a rispettare le nuove regole. E quindi vi dico, non senza un sorrisetto di soddisfazione, che sono più di trenta giorni che non esco di casa. Ho spezzato la clausura solo per fare un salto dal macellaio di fronte al portone di casa, per procacciarmi il santo agnello pasquale che da brava sarda non poteva mancare nella mia tavola. E lo so che così mi inimicherò un’altra buona quota dei miei dieci lettori, ma questo è un diario di quarantena e se non si è sinceri nei diari allora ditemi voi dove dovremmo esserlo. Dunque, il divano.
Per quelli pochi che mi conoscono, non è un mistero che per me il paradiso abbia l’aspetto soffice e accogliente di un divano, possibilmente di colore verde. Non vorrei quindi sprecare battute preziose, per ribadire come sia felice di poter passare quanto più tempo possibile in sua compagnia. La bellezza di questi giorni sospesi però, non solo ha consolidato per me i vecchi amori, ma ne ha visto nascere di nuovi. Uno più di tutti è quello per l’acero giapponese che ho ricevuto in dono dai miei colleghi a inizio autunno. Lui che durante l’inverno aveva perso tutte le foglie trasformandosi in una scultura di arte povera, proprio agli inizi della quarantena si è cosparso di gemme che si sono trasformate ben presto in una cascata di foglie verdi. Esattamente di quel tono di verde che a me fa brillare il cuore. E sì lo so che il mio è un personaggio cinico ma questa scivolata di romanticismo me la dovete proprio concedere.
Nelle ultime ore del pomeriggio quando il sole si appresta a tramontare, io mi siedo in terrazzo con un bicchiere di vino in mano e lo guardo, il mio angolo di universo Myazakiano personale e sono felice. Qualche volta la mia attrazione nei confronti delle sue foglie verdi è così forte che mi alzo dalla sedia e le accarezzo. E mentre il mio vicino parla con google io parlo con lui. Il mio acero giapponese che si è rivelato il migliore compagno di quarantena possibile (dopo il divano per carità che se mi sente son dolori). E poi ci sono i nuovi rituali che danno dinamicità a queste giornate che potrebbero correre il rischio di essere tutte uguali.
Il martedì alle undici ricevo via email l’elenco di prodotti locali a km zero e ho un’ora di tempo per compilare la mia personale lista della spesa. Prima invio l’ordine e più possibilità ho di accedere ai prodotti più ambiti come la mozzarella di bufala o i biscotti al cioccolato crudo. Così che quella che potrebbe essere una banale spesa online si trasforma in una vera e propria avventura. Il giovedì arriva la spesa intorno alle due del pomeriggio e il momento in cui il citofono trilla e io pronuncio la fatidica frase “la metta pure in ascensore” mi regala sempre un fremito. Per non parlare poi dell’emozione nell’apertura della scatola magica che contiene sì tutte le prelibatezze da me consapevolmente scelte ma anche una quantità di prodotti misteriosi che vengono inseriti d’ufficio e cambiano ogni settimana. Ed è a questo punto che scatta un’altra magia di questa quarantena.
Quando la scatola si apre e la cucina viene investita da una folata di profumi di verdure meravigliose, io respiro a pieni polmoni e faccio incetta di campi arati, di orti e fienili e aie e campagna. Altroché corsa lungo il fiume e montagna scalata a mani nude e passeggiata scalza nei boschi. E poi succede che le suddette verdure quando le vado anche a mangiare abbiano tutto un altro sapore rispetto a quelle che, fino al giorno prima della quarantena, ho acquistato al supermercato sotto casa. Quel supermercato dove oggi tutti scalpitano per andare a costo di incappare nel virus o nella multa di qualche poliziotto zelante.
Poi c’è il sabato dedicato alla pizza, ovviamente impastata a mano con farine bio di grano estinto, acquistate online dopo lunghe ricerche e consultazioni di gruppo, al mulino collocato nella provincia più estrema di una qualche regione del regno perduto di Uzul. Poi c’è il fitness delle dodici e trenta, gli skyperitivi delle diciannove, la riunione del giovedì, le videochiamate famigliari su whatsApp, le fiscion su nefflix, le imprese culinarie che masterchef mi rifiuta per eccesso di zelo e la lettura. Ore e ore dedicate all’attività che in fondo è quella che più amo e che la quotidianità convulsa della metropoli sempre più mi ostacola: l’immersione nelle storie degli altri che alla fine diventano tutte la mia.