Samanta K. Milton Knowles / 25-01-2022
Questo libro tocca corde molto personali, quindi verrà vissuto in maniera diversa a seconda del trascorso di ciascuna persona.
L’emozione principale, a livello di fattore umano, è stato per me altalenare tra l’identificarmi in Nikki e in Simone.
Si parla di emozioni ataviche che riguardano sfere universali: il linguaggio, la percezione del proprio corpo, il desiderio (o non desiderio) di maternità, le relazioni interpersonali, la paura del diverso.
Poi c’è tutto il livello sociale, di gestione della collettività, di questo mondo organizzato in maniera così diversa rispetto a quello che viviamo ogni giorno.
Le apparenze sono idilliache, ma come spesso accade sotto la patina c’è un universo di giochi di potere e interessi di varia natura.
E all’improvviso la paura diviene strumento di controllo (ricorda qualcosa?).
La domanda principale forse è – e qui possiamo ricollegarci al breve fumetto sulla “parità di genere – schmärità di genere” di Liv Strömquist contenuto in “I’m every woman” (p. 100-103) – “Se la società fosse interamente in mano alle donne, la situazione sarebbe migliore? La cattiveria e le ingiustizie sparirebbero?”.
La conclusione che trae Jessica Schiefauer in fondo è molto simile a quella di Liv Strömquist.
Basta, è tutto, a voi la linea.