Cristina Pacinotti / 15-02-2022
“Non ancora” è nato da una scommessa o forse da una domanda: ha senso raccontare una storia n gran parte autobiografica a distanza di tanti anni da quando è accaduta? La risposta, secondo me, è sì, se la storia parla di temi universali come l’amore, l’identità e la ricerca di un posto dove stare. Siamo nel 1986, la protagonista, mio vero e proprio alter ego, si chiama Maria Fermi.
Maria è il mio vero nome- anche se da sempre vengo chiamata Cristina, mamma avrebbe voluto Maria Cristina, ma per errore fu messa una virgola tra Maria e Cristina e così neanche nel nome ho potuto essere una persona sola… Fermi corrisponde a Pacinotti…Fermi e Pacinotti: scienziati famosi. Cognome completamente tradito per una, come me, super scarsa nelle materie scientifiche e in generale totalmente disinteressata a ciò che non riguarda la fantasia e il sogno. Nel caso della protagonista anche peggio! Fermi è proprio un cognome ossimoro, contraddetto dal “morbus vagationis” di cui è affetta Maria, le cui avventure sono mosse dal desiderio di continuare ad andare senza mai fermarsi.
Eh sì, perché questo in definitiva è un libro di avventure, non solo erotiche ma soprattutto esistenziali. Leggenda privata in cui alla molteplicità dei toni- descrizione di situazioni quotidiane, comiche, erotiche o drammatiche- si affiancano i più diversi contesti: dalla provincia italiana (Pisa ma non solo) alle grandi metropoli (Parigi ma anche S. Francisco passando da Berkeley e Santa Cruz), dalle spiagge dello Yucatan per finire a quelle dell’Isola d’Elba.
L’amore, come la bellezza, non si può spiegare, c’è, esiste, non possiamo che riconoscerne l’immenso e incomprensibile potere e accettare di esserne sovrastati. L’amore è il fil rouge del romanzo. L’amore che fa battere il cuore e annebbia la vista, che nella vita si prova forse una sola volta… L’amore e scusate se è poco! Cercare di razionalizzare l’amore- anzi, meglio, l’innamoramento- è una perdita di tempo, meglio raccontarlo, lasciarlo esprimere come desiderio e immaginazione.
Perché mi sentirei di consigliare la lettura di questo romanzo? Perché è un romanzo prima di tutto avvincente in cui la qualità della scrittura va a braccetto con l’effervescenza del racconto. Perché è un libro divertente, fatto di strati, di tasche testuali farcito di riferimenti culturali- non solo letterari -che restituiscono uno spaccato della fine degli anni ’80.
Tra il flagello dell’AIDS e l’incubo di Chernobyl, nel romanzo finisce per trionfare un’illogica allegria, fatta di energia vitale e gioia di vivere e comunque voglia di andare, con il vento tra i capelli.
Se Parigi, in piena epoca postmoderna, è la città molteplice per antonomasia la valenza liberatoria del meccanismo della fuga si accompagna alla ricerca di un luogo dove stare e sentirsi a casa.
Il cuore nomade di Maria cerca un nido ma in fondo, forse, non vuole trovarlo. E’ così bello volare!
Il tema della fuga e del viaggio sono tra i leit motiv di questo romanzo. Scegliendo la libertà si sceglie la separazione e il desiderio che si autoalimenta lungo la giostra dei possibili.
Nel romanzo c’è anche un altro romanzo: quello che la protagonista, tra mille dubbi e rimandi, sta scrivendo e dalla cui fine, novella Sherazade al contrario, si convince dipenderà l’esito positivo della sua storia d’amore.
Ma di nuovo… sorpresa ti dà la vita la vita ti dà sorpresa… nel momento in cui tutto sembra crollare la Serendipity – la fortuna di fare per caso felici scoperte- viene a restituire a Maria uno stato di grazia, a dimostrazione del fatto che in un nome può racchiudersi una storia.