Alessandro Moscè / 5-04-2022
Le case dai tetti rossi nasce dalla consapevolezza di una rivoluzione.
Se il disagio psichiatrico veniva considerato ineliminabile e anche alcuni disturbi non gravi comportavano l’internamento manicomiale, dopo l’applicazione della legge 180 la persona fino a quel momento reclusa è stata riconosciuta a tutti gli effetti.
Fu una conquista di civiltà. I personaggi del romanzo li vedevo da bambino, durante l’estate che trascorrevo dai miei nonni materni che abitavano ad Ancona, nei pressi dell’ex manicomio.
Li ho voluti raccontare. Quel mondo alienato, ad Ancona, è stato una piccola città con centinaia di ospiti. La struttura accoglieva i barboni, i malnutriti, gli ubriaconi, chi era tornato dalla guerra frastornato.
Ci finivano anche gli epilettici che cadevano a terra, e si pensava che il malocchio avesse consumato il cuore e l’anima, non solo il cervello.
Per molti dei degenti uscire dal manicomio ha significato entrare finalmente nella vita, seppure in punta di piedi.