Di Titti Pentangelo / 1 luglio 2019
“La libertà è quel breve lasso di tempo tra un legaccio e l’altro”.
Le donne nigeriane, purtroppo, lo sanno bene. Dal loro destino non si scappa. E neanche dal loro debito. Se non riescono a pagarlo, toccherà farlo alle loro figlie o alle loro nipoti. Il sangue trasmette anche questo, oltre alla terribile condanna di non poter scegliere la propria vita.
Le protagoniste di “Ascia nera” raccontano proprio questo. Qualcuna si sente già “morta”, qualcun’altra giura che fuori dall’organizzazione non ci sia vita. Tutte hanno in comune delle storie strazianti. Laura ha visto suo fratello piccolo morire di fame mentre dormiva. Mia è fuggita dopo essere stata per anni un “pezzo di carne” da usare a piacimento. Tonia quando non si prostituisce per strada parla con un topo. Anna trasporta eroina con delle capsule infilate nel colon.
Poi, c’è Lucia, che si è sentita veramente libera soltanto sulla costa libica, in quel “punto di sospensione tra la morte superata e quella che può ancora arrivare, tra il Sahara assassino e il Mediterraneo stragista”. Laura, Mia, Tonia, Anna e Lucia. Nomi difficili da dimenticare. Nomi italiani, proprio come il mio. Forse, l’autore voleva dirci proprio questo. Sono nate nel lato “sbagliato” del mondo, ma non sono poi così diverse da noi.
Con un rito di iniziazione chiamato Juju si sono legate per sempre ad Ascia nera, una potente organizzazione criminale nata negli anni Settanta all’Università di Benin City e generalmente nota con il nome di Neo Black Movement. Dopo aver pagato il viaggio sono state vendute come schiave nel mercato di Agadez, obbligate a prostituirsi nei bordelli. Non c’era scelta. L’unica speranza era raggiungere l’Europa, ma anche questa si è rivelata un’illusione.
Dopo l’odissea per mare nuove catene anche dall’altra parte. La mafia nigeriana è inserita da tempo nel territorio italiano, fa affari con le mafie locali, cerca di espandersi sul modello della ‘Ndrangheta. E la prostituzione è soltanto il canale più facile per finanziare altre attività, dal commercio di diamanti al traffico di armi e stupefacenti, dal mercato nero del petrolio alla compravendita elettorale. La corruzione è essenziale per comandare restando nell’ombra.
E, se hai anche l’aiuto di complici locali, diventi intoccabile. Nel suo viaggio Leonardo Palmisano incontrerà anche un tassista italiano, incaricato di accompagnare le ragazze fuori dai Cara per farle prostituire. Ascolterà le testimonianze delle vittime, ma anche quelle dei carnefici, delle menti che guidano l’organizzazione e delle mani violente che guidano i “tagliaosse”. Come in tutte le storie reali anche qui non c’è un vero e proprio epilogo, resta solo un’amara consapevolezza.
A venire in aiuto, ancora una volta, è proprio il passato. Quello dei campi da lavoro nazisti descritti da Primo Levi e delle borgate romane di Pasolini. E, poi, un’immagine potente: la bambina di “Via del campo” di De André. Le mafie non cambiano mai e a quanto pare neanche la storia.
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