Come James Baldwin – Roberto Saviano

Redazione / 2-08-2024

 

In occasione del centenario della nascita di James Baldwin, pubblichiamo un estratto della lectio di Roberto Saviano dedicata al grande scrittore afroamericano a Libri Come il 23/03/2024.

 

Ci sono scrittori che devi raggiungere scalando, altri inabissandoti.

Ci sono filosofi e pensatori per cui hai bisogno di una sorta di formazione fisica. Devi far palestra quasi.

Baldwin per tutta la vita ha cercato una lingua che fosse in grado di accogliere la realtà, ma fosse anche uno strumento per sezionarla. È una lingua, sono storie che fanno male. Come può qualcosa che fa male produrre anche accoglienza? Perché il malessere che provi, Baldwin tenta di soccorrerlo, dargli motivazione, trovargli un senso.

James è figlio di una ragazzina, Emma, arrivata dal Sud degli Stati Uniti, durante le grandi migrazioni degli afroamericani. Non conoscerà mai il padre biologico. Da alcune ricerche, sembrerebbe che sia morto di eroina giovanissimo. Baldwin è il cognome del marito di sua madre che lo adotta e lo considera un figlio al pari di tutti gli altri.

Della sua infanzia dice: “Non ho mai avuto un’infanzia”. Con infanzia s’intende uno spazio in cui ci è data la possibilità dell’ingenuità, della non responsabilità, dello stupore continuo. Dice: “Non ho avuto alcuna identità umana. Sono nato morto”.

Ci sono nove figli in casa. Il padre fa l’operaio in fabbrica, ma soprattutto il predicatore. Con il padre James ha un rapporto pessimo, perché lui mal sopportava che frequentasse altri libri: l’unico era il Vangelo. Mal sopportava anche che frequentasse i bianchi e gli artisti. Ci sarà una riconciliazione soltanto poco prima della sua morte e Baldwin dice: “Mio padre era convinto che Dio potesse vendicarsi dei bianchi e provava un amore verso di lui, verso Dio, non corrisposto”.

 

 

James inizia a essere così affascinato dalla retorica della Chiesa che diventa anche lui un giovane predicatore. Nelle chiese di Harlem i predicatori erano retori: scaldavano l’uditorio e poi arrivava il predicatore senior con il racconto delle parabole. E Baldwin parla della difficoltà di dover accogliere persone in piena sofferenza la domenica e dare loro risposte insufficienti. Significava vedere miseria, pazzia, dipendenza. Sono gli anni in cui arriva l’eroina e l’alcol devasta Harlem. La maggior parte delle donne lavora e arrotonda facendo la prostituta. È una situazione di immensa difficoltà. E la domenica come si può confortare le persone? Baldwin dice: “Vedo l’orrore e la bellezza e quindi il potere della parola, perché con la parola io devo confortare”. Ma ben presto tutto questo diventa insufficiente.

James Baldwin incontra la grande letteratura afroamericana con “Ragazzo nero” e “Paura” di Richard Wright, e capisce che è possibile raccontare ciò che vede. Che non si deve soltanto subire la realtà, ma si può raccontarla, cioè iniziare a metterla in ordine, darle un senso, e soprattutto svelare quello che sta accadendo.

La letteratura è una continua ricerca di verità, ma il suo primo pensiero è “come posso usare l’inglese? L’inglese è la lingua degli schiavisti, dei bianchi, l’inglese ha dentro tutti gli stilemi, tutti i condizionamenti, tutte le forme che hanno plasmato una realtà a noi ostile. Come posso quindi smontare questa realtà con la stessa lingua che l’ha forgiata?”

 

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